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Registra un ID univoco utilizzato per generare dati statistici su come il visitatore utilizza il sito internet.

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Utilizzato da Google Analytics per raccogliere dati sul numero di volte che un utente ha visitato il sito internet, oltre che le dati per la prima visita e la visita più recente.

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Viene utilizzato da Google Analytics per tenere traccia delle informazioni sul traffico al sito Web

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ANID, SIDCC, _Secure-APISID, _Secure-HSID, _Secure-SSID, SEARCH_SAMESITE, __Secure-3PAPISID, __Secure-3PSID

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Meta Platforms, Inc.

Utilizzato da Facebook per fornire una serie di prodotti pubblicitari come offerte in tempo reale da inserzionisti terzi.

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Memorizza le preferenze del lettore video dell'utente usando il video YouTube incorporato

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Memorizza le preferenze del lettore video dell'utente usando il video YouTube incorporato

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5x1000 scheda 2024

Intervista completa a Pezzoli e Isaias sulle possibili capacità protettive dei farmaci antidiabetici

farmaci diabeteIntervistiamo il professor Gianni Pezzoli, Presidente della Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson e dell’Associazione italiana Parkinsoniani ed il professor Ioannis Isaias Direttore del Centro Parkinson dell’Asst Pini-CTO di Milano a proposito dello studio recentemente pubblicato sulla rivista “Journal of Neurology” dal titolo: Onset and mortality of Parkinson's disease in relation to type II diabetes.*

D: Professore, i risultati che emergono da questo nuovo studio sembrano molto rilevanti, lei cosa ne pensa?

R: Lo studio è molto complesso, ma i risultati principali sono molto semplici da esporre e cioè le persone che assumono farmaci antidiabetici sviluppano la malattia di Parkinson con più di sei anni di ritardo (mediamente) rispetto alla popolazione generale.

L’età media di insorgenza del Parkinson nel nostro gruppo di pazienti, non trattati con farmaci antidiabetici è di 60,7 anni. Se il paziente è diabetico e assume farmaci antidiabetici la malattia è ritardata di oltre 6 anni e l’insorgenza avviene a 66.9 anni circa.

Questo significa che i farmaci antidiabetici avrebbero un potenziale neuroprotettivo?

È possibile, anche perché esistono farmaci antidiabetici, come la metformina, che possono essere assunti da soggetti non diabetici. In linea teorica potremmo trattare, quindi, persone predisposte a sviluppare la malattia di Parkinson ed osservare che questi farmaci sono in grado di ritardare la malattia di un buon numero di anni.

Ma quindi lei consiglierebbe un trattamento con metformina  per i pazienti parkinsoniani?

Questo studio dimostra la capacità preventiva, parziale, dei farmaci antidiabetici ma non ancora la capacità di ridurre la progressione della malattia quando questa è insorta. Non possiamo ovviamente escludere che questo fenomeno avvenga, anzi siamo convinti che possa avvenire.

Come è stato possibile arrivare a questo risultato?

Alcuni dati che noi presentiamo in questo studio sono relativamente semplici, ciò che ci avvantaggia moltissimo è la possibilità di operare su una casistica enorme. La Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson che affianca il Centro Parkinson e Parkinsonismi dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano in Regione Lombardia finanzia da più di 25 anni una Banca Dati in cui sono presenti ad oggi 37000 pazienti.
Nello studio che noi presentiamo sono stati considerati ”solamente” i pazienti parkinsoniani visitati dall’anno 2010 all’anno 2019, e ciononostante i pazienti sono quasi 8000. Queste numerosità facilitano le conclusioni statistiche a cui siamo giunti. 

Professore, che altro ci può dire a proposito dello studio? Ci sono altri elementi convincenti sulla capacità neuroprotettiva dei farmaci antidiabetici?

Un altro dato che viene presentato in questo studio è quello della prevalenza del diabete nel Parkinson dopo i 65 anni. Il diabete è presente in più del 16% della popolazione italiana con più di 65 anni, e gli stessi numeri sono ritrovati in una popolazione di “controllo”  affetta da tremore essenziale ma non da Parkinson.
Nei pazienti parkinsoniani si osserva invece la presenza di diabete nel 10% circa dei malati, oltre i 65 anni, questo perché ci sono meno pazienti parkinsoniani tra i diabetici e meno diabetici tra i parkinsoniani ovviamente, proprio per questa capacità “neuroprotettiva parziale” dei farmaci antidiabetici. 

Questi dati sono una sorpresa assoluta o erano in qualche modo attesi?

I dati sono innovativi, però ricordiamoci che la metformina ad esempio, un farmaco in commercio da più di 60 anni, è in grado di allungate la vita media di ratti stabulati di oltre il 30%, e che esiste in questo periodo un ampio sforzo per dimostrare che anche altri farmaci antidiabetici (quelli che chiamiamo in generale sostituti del glucagone) hanno un effetto neuroprotrettivo e sono capaci di ridurre la progressione naturale della malattia di Parkinson.

Sulla base di questi dati lei che futuro prevede per i pazienti?

Io personalmente ritengo che siano dei dati chiave che daranno una svolta al trattamento della malattia di Parkinson specie in una fase presintomatica. Questi studi sono di grandissima importanza anche per i Governi proprio per il costo elevato di patologie neurodegenerative di questo natura.  Oltretutto, i costi di una farmaco come la metformina sono bassissimi, circa 3 euro al mese, e quindi si capisce che, per le autorità governative, ci può essere una grande convenienza a testarne l’efficacia.
Chiediamo ora al professor Ioannis Isaias,  Direttore del Centro Parkinson e Parkinsonismi dell’'ASST Gaetano Pini-CTO di Milano che lavora in parallelo con la Fondazione Grigioni, che cosa pensa di questi risultati.

Non crede che risultati di questo genere possano spingere ad un consumo generalizzato di metformina, magari anche non giustificato? 

Questi rischi sono ovviamente sempre possibili. Noi abbiamo dimostrato una capacità parzialmente preventiva nello sviluppo della malattia di Parkinson. Non è possibile, però, trattare tutta la popolazione generale e invece potrebbero essere scelte persone che abbiano dei fattori di rischio maggiori per il Parkinson. Tutto questo sotto controllo medico.

Esistono dei marcatori neurobiologici che ci possano informare se un soggetto svilupperà o meno il Parkinson?

Non ancora, però moltissimi gruppi stanno studiando per raggiungere questo obiettivo. Certamente noi sappiamo che esistono dei fattori di rischio, come ad esempio la familiarità, cioè la presenza di Parkinson in famiglia, oppure la presenza di sintomi antecedenti all’esordio della malattia come “l’agitazione notturna”, la riduzione dell’olfatto, e anche sintomi ancora più generici come la stipsi e una lieve depressione. Questi soggetti potrebbero essere trattati a scopo preventivo all’interno di studi clinici comparativi molto solidi.

In sostanza lei crede che questa sia una svolta per la terapia delle malattia neurodegenerative?

Parliamo solo di malattia di Parkinson e di parkinsonismi, perché non abbiamo osservato un ritardo nello sviluppo di altre malattie neurodegenerative come la malattia di Alzheimer per esempio. Credo certamente che questo studio apra la strada per prospettive nuove che fino ad ora sono state tentate ma senza successo.  Ce lo auguriamo tutti.

* Onset and mortality of Parkinson's disease in relation to type II diabetes.

Fonte: Pezzoli G, Cereda E, Amami P, Colosimo S, Barichella M, Sacilotto G, Zecchinelli A, Zini M, Ferri V, Bolliri C, Calandrella D, Bonelli MG, Cereda V, Reali E, Caronni S, Cassani E, Canesi M, Del Sorbo F, Soliveri P, Zecca L, Klersy C, Cilia R, Isaias IU. J Neurol. 2022 Nov 27. doi: 10.1007/s00415-022-11496-y. Online ahead of print. PMID:36436068

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Un lascito testamentario per un futuro senza Parkinson